Passione per le arti marziali
Questo articolo è la trasposizione scritta di meri pensieri personali, tutt’altro che filosofici o di valenza tecnica, nati da quando ho cominciato ad apprendere il Jeet Kune Do nella RKS.
All’inizio si ha la passione per le arti marziali, forse non ancora delineata (a meno che non si voglia per forza frequentare quella specialità per tutta la vita), e la voglia di conquistare la vetta e le ambite cinture. Crescendo, poi, si affina la passione e si identifica qual è la specialità adatta al nostro corpo e spirito. Per mio conto, il sapersi difendere, e il voler imparare a combattere mi hanno spinto a provare il JKD (certo Bruce Lee è un’icona, ma tra il dire e il fare…).
Come mi trovai e cosa scoprii?
Semplice, che il JKD aveva una filosofia con principi molto intuitivi, ma profondi, ed una tecnica di combattimento semplice ma non facile.
Nessun metodo come metodo, nessun limite come limite.
La frase può essere fuorviante, sembra dia accesso a qualsiasi tecnica, stile, metodo, forma o colpo sulla faccia della terra. In verità è talmente semplice che solo la mente umana può complicare questo umile concetto. Nel corso degli allenamenti o della propria carriera è semplice farsi distrarre da una coreografia spettacolare o da tecniche cinematografiche, ma alla fine cosa rimane? Nel JKD il metodo di combattimento non è imposto, non ci sono degli standard prefissati da rispettare. È possibile esprimere completamente le proprie abilità, tecniche e perché no fantasia. La mente deve spaziare, non bisogna mai soffermarsi sul “cosa fare”, bisogna agire. Istinto.
Il limite da chi ci è imposto? Dalle convenzioni? Dal nostro fisico? Dalla nostra mente?
Perché ci alleniamo costantemente? Per migliorare. Per superare ogni volta i limiti.
Personalmente, quando mi presentai alla prima lezione del corso, mai avrei potuto sognare di raggiungere il traguardo odierno (blocco mentale e fisico). Ho imparato “presto” ad aprire la mia mente. Da ingegnere mi pongo degli obiettivi, non temporali, da raggiungere con allenamenti specifici; con l’aiuto di altri istruttori ma anche degli allievi; con studio e costanza.
Non convenzionale
Questo concetto riassume quello precedente. Bruce non creò un sistema preimpostato di movimenti di attacco e difesa classico delle arti marziali tradizionali. Bruce creò dei concetti. Come applicarli? Dipende da molteplici fattori: il luogo, la situazione, l’avversario, il nostro status, ecc.
Semplicità ed economia di movimento
Quali sono le armi nel JKD? Sono il nostro corpo.
Per rendere micidiali le nostre armi è necessario lavorare sulla muscolatura e sui movimenti, ma questo significa grande dispendio di energia. Un sistema semplice ed economico, nel movimento, predilige un perfezionamento nell’uso del nostro corpo, di come sviluppare potenza in un colpo senza disperdere energia. Troppi movimenti diminuiscono il nostro potenziale, per questo si è soliti dire “fare il minor numero possibili di mosse”.
Semplice, diretto ed efficace.
Mi ci sono voluti diversi anni per sintetizzare il pensiero di questo triplice concetto. Ricordo ancora quando il mio istruttore ci chiese una spiegazione la prima volta. Non eravamo lontani dal concetto base, ma non eravamo stati efficaci (mi diede da pensare parecchio).
Semplice non significa facile, me non è nemmeno complicato; le tecniche non sono coreografiche o macchinose, ma si possono apprendere piuttosto velocemente (che non significa diventare bravi subito, infatti, richiede tempo. Molto tempo.), perché più è semplice e meglio funziona.
Diretto è come il treno, più deviazioni prendiamo più energia sprechiamo (se ho una mano libera colpisco; il colpo lineare è il più veloce).
Efficace, tutto ciò che in un combattimento non va a segno, significa che non è stato allenato abbastanza oppure non è funzionale (scartata la prima ipotesi rimane solo la seconda, quindi se non funzionale è anche non efficace).
Allenamento
Non è un cosiddetto principio del JKD, ma lo inserisco per chiudere questo articolo.